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Sulla razza Dogo Argentino

Cordoba, in Argentina, all’inizio del XX secolo era una città dai due volti: da una parte viveva il fermento di quella che si definiva “belle epoque”, una società che dava culto all’aspetto spirituale, si rallegrava vedendo attraversare le sue strade dalla “Juventud de Espana” e si addormentava al suono dei valzer e delle mazurke. In poche parole Cordoba possedeva la fisionomia della capitale desiderosa di mostrarsi importante agli occhi del paese; dall’altro lato, non estraneo al primo, appare un aspetto più crudo e cruento, che arrivò in questa terra con la pratica attiva delle corride, e che trasmise la tendenza alla lotta fra galli, e che dopo spinse a far nascere e a preferire un altro tipo di lotta, più brutale ed emotiva: la lotta fra cani.

Queste due anime opposte convivevano e non in strati sociali differenti come si potrebbe essere portati a credere ma anche in strati sociali più evoluti ed insospettabili. Per portare a fine i loro barbari scopi usarono dei cani di tipo mastino provenienti da incroci ripetuti al solo fine di avere esemplari che potessero dare come risultato un tipo di cane adatto alla lotta. Questo cane era ormai considerato indigeno e veniva chiamato “viejo perro de pelea Cordobes” proprio perchè le sue origini ormai si identificavano con il territorio.

Si trattava di cani di buon volume, quasi completamente bianchi che a volte presentavano macchie beige o nere, era coraggioso, agguerrito, fino ad arrivare alla ferocia, resistente ed instancabile al dolore, le ferite sembravano non importargli e questo aspetto gli permetteva di essere il trionfatore in qualunque tipo di lotta. Antonio Nores Martinez in una geniale ispirazione insieme al fratello Agustin, concepì trasformare quel vecchio cane da lotta ormai considerato autoctono in qualcosa di più nobile ed utile e cioè in un segugio da “caza mayor”, capace di cacciare il cinghiale, il puma, il giaguaro, la volpe ed altre piaghe che invadevano i campi Argentini, producendo ingenti perdite alla principale attività dell’epoca. Per portare avanti il suo disegno incrociò il perro de pelea con altre razze già fissate e riconosciute a livello cinofilo internazionale quali il Boxer, il Pointer, il Cane da Montagna dei Pirenei, il Dogue di Bordeaux, il Bulldog, il Bull-Terrier, il Levriero Irlandese e l’Alano.

Tutto per riuscire a dare agilità, forza, taglia, fiuto, resistenza ed intelligenza in un'unica razza canina. Un vero cocktail denso di difficoltà, basti pensare al fatto che si univano tra loro cani di tipo molossoide con altri di tipo morfologico graioide e braccoide. Non bisogna però dimenticare che anche se di razze definite, si trattava sempre di soggetti meno evoluti ed estremi rispetti ai soggetti di oggi, nel senso che erano razze già distinte ma non così tipicizzate come ai giorni nostri. Il lavoro non tardò però a dare i suoi frutti ed alla fine la razza era pronta: il Dogo Argentino.

Credo sia importante per capire bene quelle che dovevano essere le caratteristiche fondamentali di questa nuova razza fare riferimento al discorso di presentazione del dogo tenuto da Nores Martinez al club dei cacciatori di Buenos Aires. La prima qualità che doveva avere era il silenzio nel cacciare in maniera da non farsi sentire dal predato con i suoi latrati. Come seconda qualità doveva essere un cane di buon olfatto che potesse seguire le tracce della preda senza però mettere il muso a terra ma captando gli effluvi odorosi che si disperdevano nell’aria alla maniera del Pointer. Terza qualità era l’agilità e quindi un soggetto ben scattante ed esplosivo nei suoi movimenti senza diventare un molossoide di tipo troppo pesante. Quarta qualità doveva essere la taglia media nel senso di non protendere per il gigantismo e nemmeno per un cane troppo piccolo e leggero. In ultimo doveva essere un buon guardiano, che era una delle prerogative che si chiedevano ad un cane di tale razza e cioè il difendere le cose e le persone che ama. In questi pochi concetti, espressi dal creatore della razza, vi sono enunciate quelle che devono essere le caratteristiche basilari del Dogo.

Il primo che introdusse il Dogo in Italia fu Giuseppe Citterio di Carate Brianza, il quale negli anni settanta importò i primi soggetti, con la speranza di allevarli tra le verdi colline brianzole. Di lui ricordiamo Indio del Chubut, che divenne il primo campione Italiano di bellezza e che proveniva direttamente dall’allevamento di Nores Martinez. Quelli erano gli anni del terrorismo e dei rapimenti, momenti in cui la società borghese di quei tempi viveva in uno stato di forte paura. Il Dogo venne pertanto introdotto in Italia proprio quasi fosse l’ultimo rimedio creato in laboratorio contro la violenza proletaria di allora. Fortunatamente di acqua sotto i ponti da quegli anni ne è passata tanta ed adesso il Dogo Argentino è finalmente conosciuto per quello che è: un fedele compagno dalla valenza eclettica e polivalente pronto a sacrificare la vita per difendere le persone e le cose che ama.


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